Il signore delle Mosche

di William Golding


“Il signore delle mosche” è uno di quei rari libri capaci di segnare profondamente l’immaginario collettivo: derivazioni e citazioni si sprecano nel cinema e nella musica, segno che è qualcosa che prima non c’era. La serie ‘Lost’, per esempio, deve molto se non tutto a Golding e gli rende omaggio in più di un episodio. Che poi la serie meriti tutto il successo che ha avuto è un discorso che non voglio affrontare qui.

Tornando al libro, appare incredibile la freschezza del testo, che è pur sempre del 1958. Dopo iniziali riferimenti che fanno capire che i giovani naufraghi non sono la gioventù di questi tempi, la prosa e soprattutto i dialoghi si trasformano divenendo fortemente ellittici e gergali, perfettamente adeguati all’universale modo di pensare, parlare e agire di un ragazzino di dodici anni: confuso, irresoluto e pieno di paure. La vicenda poteva essere ambientata in qualunque tempo e in qualunque luogo, ma i protagonisti avrebbero comunque parlato come Ralph, Piggy e Jack, perché Golding ha saputo dare alle loro voci una connotazione realistica e universale.

Il libro è percorso da una morale pessimistica ma di cinico realismo: è del tutto consequenziale e naturale il modo in cui i protagonisti vanno incontro al progressivo imbarbarimento e ancor più credibile è il fatto che vi siano due leader che lottano per la supremazia e dividono il popolo con le loro differenti linee di governo. Ovviamente [SPOILER ALERT] finirà per prevalere il più populista, quello che parla alla pancia e non alla testa dei suoi seguaci, a confermare la nostra realtà politica quotidiana e il detto di Golding “L’uomo produce il male come le api producono il miele.” Particolare e indimenticabile la figura di Piggy, il cui vero nome non compare mai, sfavorito fisicamente dal grasso a dalla forte miopia, ma apparentemente l’unico dotato di un minimo di saggezza.

Il libro me lo sono bevuto in due giorni e devo ammettere che era una lacuna da colmare assolutamente. Mi è piaciuto? Sì, ma non importa. A tratti avrei voluto che fosse diverso, ma chi se ne frega! È starordinariamente innovativo, per la sua epoca e in assoluto, ha segnato la nostra immaginazione come solo poche opere sanno fare, quindi se vi manca, correte a leggerlo e basta!


Nel corso di un conflitto planetario, un aereo precipita su un’isola deserta. Sopravvivono solo alcuni ragazzi, che provano a riorganizzarsi senza l’aiuto e il controllo degli adulti. I primi tentativi di dare vita a una società ordinata hanno successo, ma presto esplodono tensioni latenti ed emergono paure irrazionali e comportamenti asociali: lo scenario paradisiaco dell’isola tropicale si trasforma in un inferno. «Il Signore delle Mosche» (il titolo, scelto da T.S. Eliot, allude a Satana) è un romanzo a tesi in cui Golding si serve delle forme dell’utopia negativa (“distopia”) per mettere a nudo gli aspetti più selvaggi e repressi della natura umana ed esporre la sua concezione del mondo e dell’uomo.

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