L’ededità di Eszter

di Sándor Marái


Un piccolo libro delicato ma intenso, che segue la confessione di una donna e delle sue debolezze nell’affrontare la figura devastante dell’amato Lajos, cialtrone e mentitore privo di ogni scrupolo e di un senso anche solo basilare della morale, mentre attraversa ancora una volta la sua vita dopo vent’anni di assenza. Le due figure principali giganteggiano. Lajos, con la completa cecità verso la distinzione fra il bene e il male, è una figura sommamente negativa, ma l’innocente sincerità con cui ammette i suoi sbagli mentre continua a far spregio di tutto ciò che gli sta intorno, porta infine a empatizzare con lui. Eszter invece inizia la sua parabola come vittima e paladina della giustizia, ma con l’ostinata incapacità di vivere e di amare davvero, di prendere in mano anche solo per un attimo la sua vita, finisce per essere più irritante e biasimevole del suo carnefice. Invano i comprimari cercano di evitare il baratro verso cui il loro rapporto è lanciato, frutto di una vita di incomprensioni e di non detti in cui si inserisce la figura oscura di Vilma, sorella di Eszter e moglie di Lajos, che si scoprirà aver avuto molta parte nella loro infelicità. La prosa sente il peso degli anni, a volte riecheggia i toni del romanzo gotico, ma mantiene la tensione psicologica di una vicenda che sembra assurda, se esaminata con occhio lucido e critico, ma è intrisa della verosimiglianza di mille e mille rapporti umani inspiegabilmente disturbati, di vittime incapaci di ribellarsi ai carnefici, di una sudditanza psicologica irrazionale eppure invincibile. Breve, bello e profondo. Da leggere.


«Nella vita esiste una specie di regola invisibile per cui ciò che si è iniziato un giorno prima o poi lo si deve portare a termine». Per vent’anni Eszter ha vissuto un’esistenza piana e senza scosse, nella quasi inconsapevole attesa del ritorno di Lajos, il solo uomo che abbia mai amato e grazie al quale ha conosciuto, per un breve periodo, «quel senso di allarme continuo» che è stato «l’unico vero significato della sua vita». E un giorno Lajos torna: Lajos il bugiardo, l’imbonitore, il falsificatore di cambiali, il mascalzone, Lajos che esercita sugli altri un fascino il cui effetto è paragonabile solo a quello di un sortilegio o di un terribile veleno, Lajos che l’ha ingannata sempre, che mente «come urla il vento, con una specie di forza primordiale, con allegria indomabile» – che aveva detto di amare una sola donna, lei, e poi aveva sposato sua sorella. Ed Eszter sa che Lajos torna per prendersi l’unica cosa di valore che ancora non si è portato via, e che lei non farà niente per impedirglielo. Sa anche che la storia non è finita, perché «gli amori infelici non finiscono mai». Che Márai sia un maestro della tensione narrativa spinta quasi all’insostenibile è cosa ben nota ai lettori delle “Braci”. Solo Márai può gareggiare con se stesso – e qui, ancora una volta, ci racconta una storia che stringe la nostra mente in una morsa, fino allo scoccare dell’ultima parola. “L’eredità di Eszter” fu pubblicato a Budapest nel 1939.

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