È così che si uccide

di Mirko Zilahy


Il thriller si legge bene, per essere precisi si divora. Aiuta in questo la prosa, che è molto buona. Lamento solo qualche aggettivo di troppo nelle descrizioni. Per esempio: “La ghiaia annegava in una miriade di pozze livide che circondavano cespugli di rose esangui e una piccola nicchia mariana in fondo al giardino fra due palme spelacchiate” (cap 19). Qui, ma anche altrove, il lirismo confonde più di quanto dica o faccia vedere. Idem per le descrizioni fisiologiche, più poetiche che utili o corrette, ma forse io sono particolarmente sensibile in quanto medico; resta che l’adrenalina viene secreta dai surreni, non dal sistema nervoso come più volte detto. A parte questi dettagli che non pesano più di tanto, anzi si perdonano, il mistero è fitto, nulla aiuta a venirne a capo fino alla rivelazione, che per il lettore avviene presto. Mancini è un bel personaggio, ma ha problemi già sentiti, alcune sue fobie appaiono verosimili, altre meno, in particolare quella per le salme, e alla fine il suo essere profiler è secondario. Le sue dimissioni appaiono precipitose e poco motivate. Quanto al cattivo ci sono di mezzo la vendetta e le stelle e Dio… un po’ di confusione in cui il titolo, che in sé sarebbe forte, non è più leit motiv. L’impressione generale è quella di una trama in cui alcuni elementi sono stati aggiunti perché sì, ma senza farli ben amalgamare. In conclusione da leggere, non da rileggere.


La pioggia di fine estate è implacabile e lava via ogni traccia: ecco perché stavolta la scena del crimine è un enigma indecifrabile. Una sola cosa è chiara: chiunque abbia ucciso la donna, ancora non identificata, l’ha fatto con la cura meticolosa di un chirurgo, usando i propri affilati strumenti per mettere in scena una morte. Perché la morte è uno spettacolo. Lo sa bene, Enrico Mancini. Lui non è un commissario come gli altri. Lui sa nascondere perfettamente i suoi dolori, le sue fragilità. Si è specializzato a Quantico, lui, in crimini seriali. È un duro. Se non fosse per quella inconfessabile debolezza nel posare gli occhi sui poveri corpi vittime della cieca violenza altrui. È uno spettacolo a cui non riesce a riabituarsi. E quell’odore. L’odore dell’inferno, pensa ogni volta. Così, Mancini rifiuta il caso. Rifiuta l’idea stessa che a colpire sia un killer seriale. Anche se il suo istinto, dopo un solo omicidio, ne è certo. E l’istinto di Mancini non sbaglia: è con il secondo omicidio che la città piomba nell’incubo. Messo alle strette, il commissario è costretto ad accettare l’indagine… E accettare anche l’idea che forse non riuscirà a fermare l’omicida prima che il suo disegno si compia. Prima che il killer mostri a tutti – soprattutto a lui – che è così che si uccide.

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