Hikikomori

Da un esercizio svolto ne ‘I Parolanti‘ basato sulla #parolaregina: ‘barriera’


Marco si guardò intorno, cosa che non faceva spesso, ma negli ultimi giorni un dubbio aveva iniziato a insinuarsi in lui. Guardò le tapparelle abbassate, la porta chiusa. Guardò lo schermo del suo PC e fece la scelta che oramai compiva quotidianamente da più di un anno.

— Ciao — digitò sulla tastiera del computer.

— Ciao, dormito bene? — rispose la chat.

— Bene, tu?

— Bene, dove ci incontriamo oggi?

— Potremmo vederci in Fortnite. Second Life mi ha un po’ stufata.

— Anche a me.

Marco rimase a fissare lo schermo in attesa della risposta, ma nulla compariva sullo schermo.

Digitò: — Senti, Chiara…

— Dimmi.

— Che ne dici se facciamo qualcosa di veramente diverso?

— Tipo?

— Tipo… non so… avrei voglia di vederti per davvero.

— Scherzi?

— No.

Di nuovo la chat tacque per qualche secondo.

— Chiara? Sei lì? — digitò dopo un po’.

Ancora nulla.

— CHIARAAAA!

— Non urlare, sono qui.

— Non mi rispondi.

— Io non voglio uscire.

— Neanche io, ma voglio vederti.

— Io non esco. Escluso.

— Allora lo faccio io. Vengo da te.

— Davvero? Sei un eroe. Ti aspetto.

Marco si alzò e tirò su le tapparelle. Non molto, solo il necessario per guardare fuori. Casa di Chiara era lì, duecento metri più in giù lungo la strada. Condominio giallo. Quarto piano. Appartamento a destra.

Si girò, fisso la porta. La fissò parecchio, quasi volesse farla scomparire, bruciarla con i raggi di fuoco che uscivano dai suoi occhi quando era uno stregone di ventiseiesimo livello in World of Warcraft.

La porta però rimaneva lì, barriera invalicabile che lo separava dal mondo.

— Chiara — digitò.

— Stai arrivando?

— No. Giochiamo a Fortnite?

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