I lupi di Venezia

di Alex Connor


“Un grande thriller storico” dice la copertina, ma siamo abituati che tutto ciò che pubblica Newton Compton sia ‘un grande qualcosa’. Qui però mi trovo in qualche difficoltà: non so se i miei gusti per lo storico siano personali o generalizzandolo, ma ho sentito una grandissima carenza di senzazioni. Mancano quasi del tutto le descrizioni, rapidi accenni agli abiti e subito e si viene proiettati in un racconto basato sui rapporti fra i personaggi e sui dialoghi, quasi una rappresentazione teatrale senza fondali. Niente luoghi, niente suoni, niente profumi, al massimo un po’ di meteorologia. Venezia è pochissimo descritta e quando accade accade male: in un capitolo in cui un personaggio che vi è nato e vissuto pensa fra sé e sé ci dice insistitamente che a Murano fanno il vetro e a Burano i merletti… grazie dell’informazione, ma avrei preferito una minima descrizione della Burano dell’epoca in cui il personaggio era sbarcato. Idem per il Ghetto, per Rialto, per San Marco. Niente. Per quanto riguarda il thriller: abbiamo la morta, la cosa è stata finalmente segnalata alle autorità, ma a nessuno sembra interessare più di tanto. Altra occasione persa, perché l’amministrazione della giustizia della Serenissima era molto complessa e interessante, ma non se ne fa parola. Abbiamo Tintoretto, Pietro Aretino, padre e figlio nobili, lo speziale olandese, i fratelli ebrei Ira e Rosella che vengono ben caratterizzati come personaggi, ma pare che agiscano in un ambiente sospeso nel nulla. Ogni tanto qualcuno parla di questi misteriosi lupi, ma tutto quello che ne sappiamo sono poche parole pronunciate dalla vittima prima del suo misterioso trapasso. Nemmeno i dialoghi, poi, sono credibili, in quanto non vi è alcuno sforzo di renderli storicamente adeguati: tutti parlano come vivessero al giorno d’oggi. E alla fine niente: i lupi di Venezia rimangono un mistero aleggiante citato qua e là, come il Doge e la Dogaressa, la giustizia, la folla… tutto ciò che poteva essere interessante. Il mistero viene posposto al prossimo volume che non leggerò. I lupi di Venezia senza i lupi e senza Venezia. Per me è no. Il paragone con ‘La spia di Venezia’ di Benet Brandreth è impietoso.


Sotto il leone di Venezia i lupi sono a caccia. Venezia, XVI secolo. La dura vita di bottegai, prostitute, schiavi ed ebrei del ghetto contrasta con l’abbagliante ricchezza della città lagunare, meta di mercanti provenienti da ogni parte del mondo per fare fortuna. Ma alla prosperità, si sa, si accompagna spesso la corruzione. In un’epoca in cui l’inganno, la malizia e la perversione prosperano al pari dell’arte e della filosofia, i lupi hanno vita facile. Sono individui spregiudicati, che si muovono famelici, fiutando le migliori opportunità per acquisire sempre più potere, coinvolgendo ignare pedine nelle loro oscure trame. Marco Gianetti è un assistente del Tintoretto, Ira Tabat un mercante ebreo: i loro destini stanno per piegarsi al volere di individui molto in vista, come il poeta Pietro Aretino, la cortigiana Tita Boldini e la spia Adamo Baptista. Il ruggito del leone di Venezia sembra essersi placato, ora che i lupi sono a caccia.

Ti piace? Condividilo!
Twitter
Visit Us
INSTAGRAM
RSS