Il condominio

di J. G. Ballard


Non posso esimermi dai citare l’incipit, che ho trovato esemplare in positivo e in negativo:

“In seguito, mentre mangiava del cane seduto sul balcone, il dottor Robert Laing ripensò agli insoliti avvenimenti che si erano succeduti all’interno dell’enorme condominio nel corso dei tre mesi precedenti”.

Mi ha steso: è estremamente potente ed evocativo, in poche parole c’è tutto il libro e la naturalezza di quel ‘mangiava del cane’ è un irresistibile stimolo per la curiosità. Ma in quest’incipit c’è anche troppo: sembra quasi la sinossi del romanzo racchiusa in una frase. Dice così tanto da far apparire il resto del romanzo non necessario e a causa di quell’attacco così brusco non sono riuscito a entrare nella storia e sono rimasto critico e incredulo fino alla fine, in attesa di qualcosa di più di quanto la prima frase mi aveva già detto. Purtroppo quel ‘di più’ l’ho atteso invano.

A mio parere il crescendo di violenza inizia troppo presto, il concetto per cui mettere mille famiglie in un grattacielo porterà ovviamente alle più tristi conseguenze è forzatamente scontato, enunciato più e più volte come fosse la cosa più normale del mondo. Peccato, a me l’enunciato non è bastato, mi sarebbe piaciuto arrivarci pian piano, seguire una catena di piccoli equivoci invece di sentir dichiarare che un migliaio abbondante di persone siano naturalmente portate e destinate a trasformare il grattacielo di lusso nel peggiore degrado suburbano immaginabile, ledendo non solo i basilari interessi della comunità, ma anche i propri con un’indolente insensibilità che non mi sono saputo spiegare, e quindi non mi ha preso. Anche prima che tutto degeneri, uomini e donne apparentemente normali, di classe sociale e culturale piuttosto elevata, si lasciano andare a comportamenti indegni del peggior teppista senza alcun motivo e senza venir in alcun modo giudicate dagli altri.

I personaggi sono delineati in modo sommario, di tutti sappiamo solo la professione, di alcuni il cognome, di pochissimi il nome. Le loro vite sono alienate già in partenza: nessuno ha una normale cerchia di affetti, tutti sono ossessionati dalle feste, dal bere, dalla facciata e finiscono per apparire maschere vuote di un disagio profondo che viene presupposto più che delineato.

Il libro si legge bene, è scritto con una certa perizia, ci mancherebbe, ma non mi ha lasciato alcuna emozione. Temo che tra qualche mese dovrò fare uno sforzo mnemonico per ricordare di averlo letto.


Un elegante condominio in una zona residenziale, costruito secondo le più avanzate tecnologie, è in grado di garantire l’isolamento ai suoi residenti ma si dimostrerà incapace di difenderli. Il grattacielo londinese di vetro e cemento, alto quaranta piani e dotato di mille appartamenti, è il teatro della generale ricaduta nella barbarie di un’intera classe sociale emergente. Viene a mancare l’elettricità ed è la fine della civiltà, la metamorfosi da paradiso a inferno, la nascita di clan rivali, il via libera a massacri e violenza. Il condominio, con i piani inferiori destinati alle classi inferiori, e dove via via che si sale in altezza si sale di gerarchia sociale, si trasforma in una prigione per i condomini che, costretti a lottare per sopravvivere, danno libero sfogo a un’incontenibile e primordiale ferocia. “Era trascorso qualche tempo e, seduto sul balcone a mangiare il cane, il dottor Robert Laing rifletteva sui singolari avvenimenti verificatisi in quell’immenso condominio, nei tre mesi precedenti. Ora che tutto era tornato alla normalità, si rendeva conto con sorpresa che non c’era stato un inizio evidente, un momento al di là del quale le loro vite erano entrate in una dimensione chiaramente più sinistra. Con i suoi quaranta piani e le migliaia di appartamenti, il supermarket e le piscine, la banca e la scuola materna – ora in stato di abbandono, per la verità – il grattacielo poteva offrire occasioni di scontro e violenza in abbondanza.

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